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Riedito il “Cafiero” di Pier Carlo Masini, ben più che una biografia

 Riedito il “Cafiero” di Pier Carlo Masini,
ben più che una biografia

La nuova edizione del libro di Pier Carlo Masini dedicata a Cafiero, (Cafiero, BFS edizioni, Pisa, 2014, pp. 280, € 20,00) rivista e ampliatadall’autore prima della sua scomparsa, rappresenta  un accurato lavoro filologico, archivistico e di approfondita documentazione,continuato negli anni successivi all’edizione del ’74. La postfazione di Franco Bertolucci mette in luce che non si tratta solo di un libro sull’internazionalista pugliese, ma fa emergere anche l’originale contributo di ricerca di Masini nel suo mestiere di storico. Saranno circostanze virtuose a mettere il giovane Masini sulle orme di Cafiero prima ancora di conoscere l’internazionalista attraverso i suoi scritti e le sue imprese.  Luogo preferito il monte Cèceri vicino Fiesole.

E proprio sulle pendici del monte, lungo le cave e le caverne di Maiano, verrà ritrovato Cafiero pazzo. Anni dopo, per la sua scelta antifascista viene arrestato e mandato al confino  a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, a soli tre chilometri da San Lupo, la base di partenza della banda internazionalista del Matese capeggiata da Cafiero, Malatesta, Ceccarelli. Ai primi di settembre del 1947 Masini ripercorrerà altresì, insieme ad Alfonso Failla e ad altri compagni, il cammino degli internazionalisti. Già nell’estate del ’45 sceglie di schierarsi in campo libertario e matura l’idea di riscrivere la storia dell’Italia attraverso lo studio del movimento operaio, per conferire dignità e legittimazione al movimento stesso. Masini si schiera nel solco del pensiero di Errico Malatesta, Luigi Fabbri, Francesco Saverio Merlino e Camillo Berneri, dalla parte di quelli che sanno tradurre “l’utopia della vetta in proposte, programmi, progetti per cambiare il piano; che sono continuamente irrequieti, autoironici, insoddisfatti, autocritici del loro stesso anarchismo, che lo adoprano non come un metro per misurare e magari condannare gli altri, ma come una lente per leggere meglio in se stessi e nella società”.

 Il contributo sulla pazzia di Cafiero dell’amico e storico mantovano Bosio gli suggerisce invece la chiave di lettura della vicenda umana del rivoluzionario pugliese. Cafiero, “la settima anima”, il figlio del sole, un figlio del Mezzogiorno. Napoli sarà la sua patria adottiva, anche se l’anagrafe lo vuole pugliese, di Barletta dove nasce nel 1846 da Ferdinando e Luisa Azzariti, una famiglia benestante, ben accetta a Dio, al re, alle banche e all’elettorato. Due fratelli e tre sorelle,  fin da subito sarà la pecora nera, l’innominabile sperperatore, vagabondo e sovversivo, vissuto in galera e morto in manicomio, cattivo esempio per i bambini. Ramo sbagliato della casata. Per il programma e la lotta internazionale dissiperà tutto il suo patrimonio ereditato.  Cafiero -per estensione il cognome si assimilerà al nome- condensa una personalità che sarà confusa con la leggenda, anche se il pensiero  rimarrà a lungo sconosciuto.

I suoi primi studi in un seminario vescovile del meridione, dove  riti sacri, pratiche ascetiche, venerazione di santi saranno sconvolti dalle sferzate garibaldine che s’infilavano anche nei conventi e seminari. A diciotto anni la crisi, la rivolta, ma di questo passato ne rimarrà in certa misura prigioniero. La laurea in legge a Napoli, poi i contatti con  Firenze, centro di vita e cultura democratica e agli inizi del 1870 con Parigi, negli ultimi anni del Secondo Impero. E proprio alle prime avvisaglie della  guerra franco-prussiana, parte per Londra. A venticinque anni, la seconda conversione votata alla rivoluzione. Lusinghe della carriera, vita mondana, raffinatezze cedono alle umane miserie degli operai della metropoli, che paragona a quelle delle plebi meridionali. Quartieri, -soprattutto White Chapel- dove regnano  alcolismo, tuguri fetidi,  ladri, cenciosi e prostitute.

 A Londra i contatti con Marx e Engels e l’adesione all’Internazionale. Cafiero sarà altresì il primo divulgatore in Italia del Compendio del Capitale  di Marx, redatto nelle celle del carcere. Poi le lettere di congedo da Engels, la rottura con il Consiglio generale e l’avvicinamento a Bakunin – arrivato in Italia nel 1864 e dedito all’attività politica fino al 1874 –  il russo reduce dalla Siberia, l’incubo del Consiglio Generale per la sua azione “anarchica”  all’interno dell’ Internazionale di cui è membro. Fedele al suo maestro, con cura e dedizione filiale acquisterà una casa con un po’ di terra a Locarno, “La Baronata”, per farvi risiedere il russo con la sua famiglia e altri rivoluzionari fuggiaschi. Ma si dimostrerà irato e amareggiato quando il maestro  abuserà della sua fiducia e generosità , costringendolo a vendere carrozza e bardatura, argenteria di famiglia e gioielli della madre per far fronte ai debiti. Cafiero dirà d’ora  in poi: “né un centesimo, né un pensiero, né un guizzo di energia, poiché tutto dovrà appartenere alla rivoluzione”. Sarà la fine di un’amicizia e di un sodalizio fatto di motivi economici, politici, ma anche  di sentimenti, durato due anni.

 Cafiero occupa un posto centrale nella storia del movimento operaio italiano. Dotato di intraprendenza, forza morale, ma anche materiale  sarà tra i principali ispiratori e organizzatori a Rimini, nel 1872 della branca italiana dell’Internazionale, e poi del contro-congresso di Saint-Imier, le cui risoluzioni adottate costituiranno le basi dell’anarchismo moderno. Tra il 1878 e il 1880 concepisce un ampio saggio dal titolo “Rivoluzione”, il primo consistente e organico elaborato teorico dell’anarchismo italiano, influenzato dalle idee e dall’azione di Pisacane, per Cafiero il primo maestro di socialismo e di anarchismo. La seconda parte poggia come è noto sulla  formula “Da ciascuno secondo le sue facoltà, a ciascuno secondo i suoi bisogni” e la terza è un aggiornamento della teoria della “propaganda del fatto”.

 Quando alla fine del 1879 l’Internazionale lascia il posto all’affermazione e sviluppo del movimento socialista da un lato e del movimento anarchico dall’altro. Di quest’ultimo Cafiero ne sarà il profeta. Masini indaga in modo particolare sugli aspetti più introversi e contraddittori della personalità di indomito rivoluzionario, impetuoso, mistico sognatore, allucinato.  Lo storico toscano ravvisa segnali di malattia e tendenze che si aggraveranno negli anni successivi. L’attacco all’amico Andrea Costa -idee di origini libertarie e nel 1882  primo deputato socialista  entrato in Parlamento italiano -avrà un forte costo psichico, segno dei primi sconvolgimenti prodotti nella sua mente. Anche nell’atteggiamento verso il congresso di Londra, riscontrato nella  lettera di Cafiero a Malatesta e a Kropotkin, si mescolano elementi sensati a uno stato di anormalità. Ma, tralasciando le componenti paranoiche, la sua sfiducia nella tattica rivoluzionaria e l’indicazione di una nuova teoria precorrerà le successive tendenze dell’anarchismo individualista, in contrasto con la linea “organizzatrice” di Malatesta.

 Al VII congresso generale di Bruxelles nel settembre 1874, solo gli italiani  assenti, giungerà un documento scritto e spedito da Cafiero, dove tra l’altro si annuncia: “L’epoca dei Congressi è per noi decisamente finita”.  Per Masini, il messaggio  andrebbe ricondotto ad un momento di crisi personale, la rottura con Bakunin, e politica, il fallimento dei moti insurrezionali in Italia, e letto in chiave psicologica. Vi ravvisa una tendenza a razionalizzare gli insuccessi fino a trasformarli in future vittorie. La stessa paura delle spie e dei mestatori altro non sarebbe che un primo indizio della sua mania di persecuzione. Ancora significativi: “la ricerca dell’anonimato, il bisogno di eclissi, l’attrazione delle tenebre per cui l’organizzazione settaria e segreta diventa per Cafiero l’ideale rifugio della sua tormentata personalità”. Necessità interiori pretesto di opportunità politiche giustificate a se stesso e agli altri.

E anche la dichiarazione di una sua conversione al metodo elettorale e parlamentare sarebbe quella di un uomo psichicamente in declino. Incarcerato più volte, tenterà in circostanze diverse il suicidio. Nel 1883, l’internamento nel Regio Manicomio di Bonifazio, la richiesta di interdizione da parte dei familiari e l’interessamento della moglie Olimpia per averlo invece affidato nelle sue mani. Nel 1886, Cafiero lascia Firenze per il manicomio imolese di S. Maria della Scaletta, in campagna. Cartelle cliniche riportano le sue stravaganze, la riluttanza verso gli abiti sentiti come una camicia di forza, soliloqui, manie di persecuzione. Poi la tutela alla moglie. Per un anno e mezzo dimoreranno tra Bologna  e Imola, ma senza miglioramento delle condizioni. Sempre vicino al camino, testa bassa, mangia solo polenta e cipolle. Taciturno esce da casa mezzo scamiciato in pieno inverno. Oppure, rimane disteso nudo al sole di primavera.  Il più distinto dei rivoluzionari italiani, garbato nelle maniere, dalla parlata musicale, elegante, barba signorile, figura maestosa e imponente esprime così la mancata accettazione delle convenzioni sociali. La mente devastata dall’attesa “del sol dell’avvenir” rivelerà l’ultimo sprazzo di lucidità quando alla vista delle bandiere per l’anniversario della Comune, risponderà: “Il principio è affermato”. Dopo un periodo al paese natio, di nuovo il ricovero, questa volta nel manicomio Vittorio Emanuele II di Nocera Inferiore. La tubercolosi, e infine la morte liberatrice all’una pomeridiana di domenica 17 luglio 1892.

Se l’edizione del libro su Cafiero pubblicato nel ’74 nella collana Gli italiani è segnalata, recensita dalla stampa italiana e apprezzata, la critica marxista considera   l’ indagine del dato psicologico un limite. Invece il merito di Masini sta proprio nell’aver saputo ben integrare il dato strutturale, caro alla critica marxista, con quello psicologico. E all’interno delle masse, restituendo l’individuo come entità, lo storico toscano introdurrà un fondamentale contributo innovativo  anche sul piano del racconto biografico. Così l’autore potrà affermare: “Cafiero porta con sé, nel suo acuto destino, un frammento dell’umana odissea (…) tappe della ricerca di un’altra cosa, di una diversa dimensione, al di là del reale e dell’umano”.

Claudia Piccinelli

 vedi Link: Rassegna libertaria