(Post)anarchismo queer/
Rapporti imprevedibili tra individualità e socialità
àltera, Collana di intercultura di genere diretta da Liana Borghi e Marco Pustianaz, ha appena pubblicato il saggio del ricercatore Samuele Grassi Anarchismo Queer un’introduzione (ETS Edizioni, Firenze 2013 pp. 201, € 18,00). Una miscellanea di contributi, quasi enciclopedica, per un’introduzione, appunto, al complesso, multiforme, variegato, inafferrabile “anarchismo queer”. “Un punto fermo, non scritto” dal quale cominciare, considerato che sul piano teorico lo studio è ancora tutto in divenire. L’autore dichiara di voler esplorare connessioni possibili tra l’etica anarchica e le teorie queer allacciandosi all’ambito anglofono, per valutare se siano traducibili ad altri contesti come quello italiano.
La quarta di copertina ben ne sintetizza gli assunti: “Il queer mina alla base l’acronimo lgbt, si rifiuta di diventare l’ennesimo prodotto-immagine della cultura globalizzata, di essere cooptato dal neoliberismo; sfugge, sempre differente, inassimilabile”. Ancora: “L’anarchismo oggi è alla ricerca di nuove pratiche etiche della responsabilità, di libertà e solidarietà per negoziare rapporti imprevedibili tra individualità e socialità. All’incrocio di queste due pratiche teoriche e attiviste, l’anarchismo queer manda in crisi le opposizioni binarie come etero/omo, bianco/nero, teoria/attivismo, e le sostituisce con espressioni singolari, autonome, antiautoritarie, in continuo divenire antagonista”.
Samuele Grassi, nel condividere la riflessione teorica di Benjamin Shepard, individua affinità tra prassi postanarchiche e queer riconducibili alla scelta di “piacere” e “democrazia diretta” versus le logiche del profitto, mentre il concetto di libertà è basato sull’auto-determinazione che comprende anche “esperienze eclettiche, dinamicità e sperimentazione” e critica anti-essenzialista alla normatività.
Per una critica anti-normativa delle e sulle differenze di genere/sesso/sessualità, classe, razza, abilità, lo studio considera gli approcci metodologici dell’intersezionalità e dell’interculturalità, che permettono di vedere come le prime si realizzino nell’ambito della gestione biopolitica dei corpi, dimostrando zone di contatto e incontro tra i due approcci e la teoria queer.

Il queer mette in crisi il concetto di identità sessuali naturali, libera la sessualità così da poter contribuire al cambiamento sociale attraverso “la limitazione di ogni ordine morale imposto, a cominciare da quello che sottrae libertà ai nostri corpi”.
Al riguardo, l’attivismo pink intende sovvertire il primato delle strutture dicotomiche che legittimano le forme di potere tradizionali, attribuendo al colore l’indicatore della lotta a ogni forma di oppressione. Grassi sottolinea gli importanti contributi nell’ambito del teatro alternativo anche in Italia. L’aspetto ludico di certe pratiche, soprattutto quelle più teatrali, rappresentano prima di tutto un atto di sovversione perché viene a mancare la logica oppositiva dello scontro, che invece è strumentale ai procedimenti con cui il potere legittima la necessità di ricorrere alla violenza e alla repressione da parte delle forze dell’ordine. Sono forme di protesta antiautoritarie, modi alternativi di fare mondo, forme ludiche di resistenza effimere e imprevedibili.
In Italia, per democratizzare desideri e pratiche sessuali, “contro le politiche di disciplinamento dei corpi” un approccio aperto alla sessualità è stato portato avanti da gruppi e progetti antagonisti. Lo studio discute dei gruppi: Antagonismogay/ Maschieramenti, FrangettEstreme, Mujeres_Libres, Sexyshock di Bologna; A/Matrix, OrgogliosamenteLGBTIQ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Intersex, Queer), Phag Off! e il collettivo Facciamobreccia di Roma; Pornflakes queer crew di Milano e la Torino Samba Band.
La ricerca del piacere è vista in termini affettivi anziché produttivi, come relazionalità anziché procreazione. Le tappe della lotta al potere si esplicitano, quindi, attraverso la pornografia come strumento di liberazione, la causa del sexwork, come lavoro autonomamente scelto e autogestito, oppure la sessualità restituita a una cultura delle relazioni capace di valorizzare le differenze, lontana dai ruoli e dagli irrigidimenti identitari. Il sesso kinky, invece, attraverso l’aspetto ludico dell’assunzione di ruoli, smaschera la realtà oppressiva delle relazioni di potere esistenti nella vita quotidiana
Nell’ambito della critica all’eteronormatività, il queer delegittima il valore intrinseco alle identità sessuali dominanti, anche attraverso un confronto con alcuni princìpi, da quelli di democrazia, pluralismo, singolarità, ai princìpi di etica, sostenibilità e responsabilità. Concetto quest’ultimo ripreso dal femminismo di Judith Butler, la quale propone “un’etica della responsabilità” che si apre all’incontro con e tra differenze, nel momento in cui il soggetto si rende umilmente consapevole della propria vulnerabilità, della non completa conoscenza di sé, aspetto che lo pone in necessaria relazione con l’Altro. E di questo se ne deve tener conto.
Sandra Jeppesen parla altresì del compito di praticare un’“etica nomadica e pluralista” in cui la nostra responsabilità verso il sé è connessa alla responsabilità profonda verso gli altri. Non c’è libertà del sé in assenza di quella degli altri.
Sempre all’interno della ricerca di nuove pratiche etiche, nella parte conclusiva del saggio si sottolinea che l’etica hacker è un’etica dell’anarchismo poiché è fondamentale riuscire ad accedere alla rete/networking, su cui si fonda internet, per un accesso libero e condivisione libera di saperi. Di importanza strategica l’Oral History Project, il monumentale archivio circolante in internet, che mette a disposizione documentazione di forme di relazionalità dissidenti e strategie politiche considerando la mobilitazione degli affetti, per una liberazione delle norme del sesso/genere. Comunque, aver accesso a computer, applicazioni, gestire in modo autonomo strumenti e informazioni, rifiutando ogni forma di autorità e controllo che possa impedire l’accesso alle conoscenze, significa utilizzare internet e l’informatica come una forma di arte, come strumento capace di migliorare il mondo. Quindi, l’etica hacker è un’etica libertaria che va oltre la contro-informazione per giungere a contrastare il monopolio informativo.
Nel tentativo di cogliere le molteplici sfaccettature del mondo queer, dal mio marginale punto di vista, considero importante che le proposte, sollecitazioni, dubbi sollevati, problemi aperti sempre soggetti a interrogazione non rimangano solo “nella sfera intimamente pubblica” di chi ha condiviso con l’autore il “viaggio collettivo” di collaborazione, come si legge nei “Ringraziamenti” all’inizio del saggio. In particolare, a proposito della circolazione dei saperi, credo si debba affrontare il problema della divulgazione su vasta scala per contribuire in modo costruttivo,– e non solo nell’impianto teorico per “sciogliere rigidità epistemologiche” –, a relativizzare gli schemi interpretativi, a non categorizzare, a pluralizzare i punti di vista.
Dare a tutt* la possibilità di includere letture possibili di mondi “altri” è un primo passo per non stigmatizzarli. La sessualità dovrebbe altresì essere al centro di una sensibilizzazione di ampio respiro. L’autore stesso ravvisa l’assenza di leggi in tal senso, per un’educazione sessuale nella scuola pubblica. Ma rimane aperta la questione relativa ai luoghi, alle figure designate a parlarne, sempre più difficile in un contesto come quello italiano in cui sono forti le pressioni normative di Stato e Chiesa. Un’educazione sessuale e alla sessualità rischia di proporsi come una diseducazione, se non comprende anche il riferimento alla sfera emotiva degli affetti, dei sentimenti, se non contempla quantomeno la conoscenza di progetti altri, oltre la famiglia, il matrimonio, la coppia, se non affronta la questione della decostruzione dei generi. Perché, se è vero che dipendiamo dall’ Altr* – ma chi è l’Altr*? – è giusto che l’Altr* ne sia reso partecipe.
Conoscere, riflettere, ma allo stesso tempo esercitare la sospensione del giudizio sarebbe un modo per contrastare in modo efficace gli stereotipi nei quali navighiamo, e non solo in modo metaforico, nella quotidianità. Cominciando dal ripensare la lingua italiana con la quale veicoliamo i nostri pensieri e idee, attraverso la quale si esprimono e condividono “utopie rinnovabili di un mondo migliore”, e nella quale prevale, incontrastato, il “maschile plurale”.
vedi link: Rassegna libertaria Claudia Piccinelli