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Marco Rovelli, La guerriera dagli occhi verdi

Donne curde/

Contro il potere e il dominio maschile

La tomba di Avesta Harun si trova sulla montagna del Qandil, nel Kurdistan iracheno al confine tra Iran e Iraq. Nel cimitero, una lastra di pietra bianca con il nome e la stella rossa del Hpg. Una mina ha devastato Avesta poco dopo la liberazione di un villaggio vicino Mahmudiye.

Marco Rovelli (La guerriera dagli occhi verdi, Giunti, Firenze, 2016, pp.158, € 16,50), musicista e scrittore, autore di narrazioni sociali, dopo aver letto una sua intervista su Foreign Policy, alla notizia della morte della partigiana combattente, si mette in viaggio nel Kurdistan iracheno e turco, da Mexmur a Van per attingere ai luoghi e alle figureche hanno condiviso la lotta di liberazione con Avesta.

I fratelli Idris e la sorella Nurcan saranno fonti importanti per la storia di Avesta bambina, quando ancora si chiamava Filiz. Curiosa, tenace, coraggiosa si lascia guidare dal fratello Tekin, alla scoperta dei segni del mondo. Scopre il tesoro di Mezri, gli alberi solitari che danno noci buone per fare dolci prelibati come il baklava, o il kadayif. Ma a Turgut Reis, un villaggio vicino Van per coltivare la canna da zucchero insieme alla famiglia, si dovrà abituare a una terra dove a scuola si può imparare e parlare solo il turco, una lingua a lei estranea. Parlare curdo è un reato perseguibile per legge. Si rifiuterà di continuare la scuola.

Tekin farà conoscere a Filiz l’ideale. A vent’anni comincia a fare attività con i giovani curdi. Filiz impara la danza, perché insegna ad essere curdi, a non vergognarsene, a non avere paura. A Van, cuore della civiltà urartu, in quella danza insieme ad altri giovani, riecheggiano le parole di cento anni prima di Emma Goldman “Una rivoluzione senza ballo è una rivoluzione che non vale la pena di fare”. Filiz frequenta le riunioni, partecipa alle prime manifestazioni quando arrestano calan, il leader dell’opposizione curda, poi in isolamento nel carcere dell’isola di Imrali con l’accusa di terrorismo, e non ancora liberato.
Agire è l’unico modo di reagire. Alle donne curde sarebbe toccato il compito più importante per la liberazione. Per immaginare un altro mondo da costruire, il tempo va impiegato studiando. Recita il poeta curdo Sherko Bekas con gli occhi chiusi e legge a voce alta i libri di calan sulla questione del patriarcato. Anche Sakine Cansiz, sepolta nel cimitero di Dersim, una delle fondatrici del Pkk, donna di unità tra pensiero e vita, sarà una delle ispiratrici della scelta guerriera di Filiz. Si sentirà orfana e abbandonata quando Sakine verrà uccisa per mano di un turco.

Filiz diventa Avesta dopo l’uccisione di Tekin, colpito da una bomba lanciata da un Cobra, un elicottero turco. Sui monti del Qandil, prende il testimone e assume anche una parte del nome di battaglia del fratello, Harun, nome di un partigiano. Da sempre ha la tenacia di un mulo. Rapida, scattante intona Bella ciao, il canto della Resistenza italiana tradotto anche in curdo. Immagina un altro mondo attraverso le canzoni di lotta, per un sistema di autogoverno dal basso dei popoli.
Energica, determinata, con una scelta estrema abbraccia il fucile nel Hpg, gruppo speciale di difesa, e sarà comandante della sua squadra. In un’intervista: “Combattere significa innanzitutto sconfiggere il nostro individualismo”. Pensare innanzitutto alla lotta comune, prima che a se stessi. Solo se ciascuno diventa autonomo può essere utile al gruppo. E chi resta, non si sposa.
Alla lotta per un Kurdistan libero dal governo turco, si aggiunge anche la lotta, non ancora conclusa, contro un altro nemico, il califfato dell’ Isis. A 32 anni, poco prima di morire verrà ferita dai banditi di Daesh durante la liberazione di un altro villaggio, Fatimiye.

“L’arma – dice sempre Avesta ai suoi compagni – serve per difendere il corpo. Ma più importante è trasformare la nostra mentalità”. E ancora: “Studiare significa creare una persona nuova”. Il cuore della resistenza sono le ore di educazione comune, con i libri nei depositi sottoterra, per essere protetti, così come le armi nascoste dentro le grotte sui fianchi delle montagne.
Avesta ha un diario. Scrivere è un modo per tenere traccia del tempo, non smarrire il filo della speranza di liberazione. E dopo l’ora di autoeducazione, lo studio dei quattro dialetti curdi. In comune anche la conoscenza pratica, lavorare il legno, coltivare, conoscere le piante. Tutto si fa natura.

Altre voci si intrecciano a quelle di Avesta. Come il racconto di Zeynep del lungo esodo insieme ad altri duemila dal villaggio di Hilal, solo con le coperte e i muli, verso l’ Iraq, fino al 2005 quando si è instaurato a Mexmur il primo esempio praticato di confederalismo democratico.

O il racconto della giovane Evrim, appassionata di calcio e di scacchi “per vedere oltre”. Viene da Kobani, nel Rojava, il Kurdistan siriano. Prende parte a manifestazioni insurrezionali schierandosi con il movimento di liberazione curdo. Imbraccia le armi a sedici anni, nel Ypj.

Le donne si battono nella consapevolezza che prima di tutto serve una rivoluzione sociale con la messa in discussione del potere e dominio maschile. A partire da sé, da pratiche quotidiane di cambiamento e di cura, per aprire altri scenari oltre le resistenze feudali. Basi solide per una società libera e democratica fondata sulla parità di genere e sull’autogoverno.

E proprio nell’attuale momento di forte repressione delle municipalità curde in Turchia e l’eliminazione, tra gli altri, di intellettuali, giornaliste, deputate e co-sindache democraticamente elette nell’ambito della democrazia paritaria adottata fin dal 2000, le donne curde fanno appello alla solidarietà internazionale.

Nella pagina conclusiva del libro, l’autore rivolge i ringraziamenti soprattutto al popolo curdo “nella speranza che questo romanzo possa essere un piccolo aiuto nella lotta di liberazione, che è anche la nostra”. Un contributo per entrare nelle vicende di un popolo troppo spesso lasciato in sordina dall’informazione ufficiale. Un romanzo di piacevole e coinvolgente lettura, dalla scrittura agile e ben documentata. Un romanzo che si legge in un soffio, come un soffio è stata la vita di Avesta Harun, la guerriera dagli occhi verdi.

Claudia Piccinell

vedi link: Rassegna libertaria