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La bella storia di un non-complice

La bella storia
di un non-complice

Momenti decisivi della vita di Giuseppe Gozzini, primo obiettore di coscienza cattolico, sono racchiusi nei suoi scritti autobiografici scelti anche grazie alle ricerche della figlia Letizia. L’amico Piero Scaramucci, curatore della raccolta, ricorda il primo incontro con Beppe alle lezioni di russo al Circolo Filologico di Milano, immersi in nottate tra discussioni di politica, etica, futuro, amicizia, sfruttamento, ribellione, e pessima grappa (Giuseppe Gozzini, a cura di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore, Edizioni dell’Asino, Bologna, 2014, pp. 252, € 15,00).

Figlio di un operaio saldatore della Breda e poi calzolaio, nasce nel 1936 a Cinisello Balsamo. Nell’hinterland milanese al tempo molto proletario, il bravo scolaretto Giuseppe viene mandato a studiare prima in un collegio e poi dai Salesiani per diventare prete. Ma presto passerà al liceo “Parini” di Milano, poi conseguirà una laurea in giurisprudenza. Risale agli anni universitari il suo cammino di formazione. La conoscenza dei “preti bastonati”, letture, conferenze e incontri soprattutto con due testimoni e maestri di pace, don Primo Mazzolari e il suo libro Tu non uccidere (1955), e Jean Goss, operaio cattolico dall’irruenza profetica capace di scuotere le coscienze dei padri conciliari in Vaticano come della gente ammassata sulla Piazza Rossa.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta è già orientato verso la disobbedienza civile come forma di lotta nonviolenta vicino ai gruppi pacifisti formati da protestanti, quaccheri, tolstojani, anarchici. Ma di cattolici, nemmeno l’ombra.

Fondamentali i contatti con cicli annuali di conferenze organizzati dalla “Corsia dei servi” per quello sguardo critico sempre aperto sul mondo. Figure che avevano anticipato, promosso e praticato da tempo le tematiche sollevate dal Concilio. Don Milani, i “preti operai”, Primo Mazzolari che si firmava senza il don, l’“attore” Turoldo che -sempre secondo Gozzini- non può essere compreso senza il suo suggeritore padre Camillo De Piaz, il prete partigiano, dall’”originalità laica” e lo stile di vita sempre alla ricerca di un equilibrio tra Chiesa e mondo, tra fede e politica in un rapporto di reciproca fecondità.

Chiamato alle armi nel novembre del ’62, al Car di Pistoia rifiuterà di indossare la divisa e scatterà la condanna in base all’ art. 137 del Codice penale militare: sei mesi senza condizionale per disobbedienza grave. Sarà internato nel carcere militare giudiziario di Fortezza da Basso di Firenze, dove in passato erano stati rinchiusi anche Cafiero e altri anarchici. Tra i presenti alle udienze, in qualità di testimoni, Aldo Capitini, precursore della nonviolenza in Italia, e il sacerdote salesiano Germano Proverbio, con il quale Beppe aveva dato vita a un gruppo di studio e di preghiera anticipando le “comunità di base”. Aule affollate di amici e simpatizzanti, come non era mai successo.
Il caso del primo obiettore di coscienza cattolico avrà una forte risonanza. Dibattiti, manifestazioni, veglie e digiuni in tutta Italia. Per le strade, in piazza e nei bar di Firenze decisivo l’intervento di padre Ernesto Balducci e don Lorenzo Milani che presero pubblica posizione per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Il prete di Barbiana, partendo dal “caso Gozzini”, oserà sollecitare la coscienza dei cappellani militari, la loro funzione e il loro ruolo.
Intanto, per motivi religiosi, morali o politico-filosofici, cattolici e anarchici finivano in carcere. E anche dopo il ’72, anno in cui l’obiezione di coscienza viene istituzionalizzata, due “non sottomessi” anarchici di Milano, Dario Sabbadini e Dino Taddei, obiettori di coscienza totali, rifiuteranno anche il servizio civile ritenendolo una scelta di comodo, nell’ imbarazzo dei giudici che non sapevano in base a quale articolo condannarli.

Dopo il carcere, nel ’69 Gozzini accetterà di collaborare all’Alfa come pubblicista. Una scelta molto dibattuta, sofferta, insieme casuale e necessaria, quella del marchettaro -come egli stesso la definisce- . Tuttavia per lui non sarà una professione, ma un tirare avanti la carretta per sbarcare il lunario: “La mia vita era altrove, fuori dal palazzo e dai compromessi con il potere”.
Nelle pagine iniziali, Goffredo Fofi parla dell’amico Beppe come di un “militante di base”, un “persuaso” che ha cercato di stare nella Storia rifiutando la morale del più forte, cosciente che una rivoluzione sociale implica anche una rivoluzione personale”. Un’amicizia che risale al periodo dei “Quaderni rossi” di Raniero Panzieri e dei “Quaderni Piacentini”, al legame con Giorgio Bellocchio e Grazia Cherchi.
Obiettore e contestatore, militante, pacifista, cristiano, cattolico, comunista. Sempre contrario a farsi intrappolare in un’etichetta, con un gruppo di studenti darà vita alla rivista “Collegamenti”, a partire dalla fabbrica, per contatti con Milano, l’Italia, il mondo. Si esporrà personalmente respingendo per primo, con una lettera che fece scalpore, la falsa versione del suicidio dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

Nel testo inedito dei suoi appunti per il Corso di formazione dei primi volontari in Servizio civile internazionale, 11-12-13 ottobre 2004, mette in guardia dal rischio possibile, in seguito all’abolizione del sevizio militare obbligatorio e l’istituzione del servizio civile su base volontaria, che quest’ultimo finisca per svolgere una funzione suppletiva dell’assistenza pubblica conquistata “come diritto” in oltre un secolo di lotte. Invita ad assumere posizioni chiare, per scegliere da che parte stare: fare la ciliegina umanitaria, elargire tocchi di bontà, rappresentare un’appendice altruistica lasciando che prenda piede la militarizzazione, oppure aprire gli occhi per vedere che viviamo in un Paese militarmente occupato.
Gozzini parla direttamente ai giovani -e sarebbe bene in qualche modo continuasse parlare loro- con passione, entusiasmo e convinzione profonda: “Bisogna riprendere in mano il vocabolario”. Fare i conti con il linguaggio, ri-scoprire il significato, il peso nascosto, il potere delle parole di svelare o mascherare la realtà. Quale insidia è nascosta negli “eserciti di pace”? E il “disastro umanitario” è una “catastrofe filantropica”? Una “crisi benefattrice”? Una “epidemia caritatevole”? Ossimori e assurdità!

È il primo obiettore che parla agli ultimi obiettori. Fino alla fine -nel 2010 solo la malattia riuscirà a stroncarlo- il suo è un invito a rinnovare rendendola ancora attuale l’obiezione di coscienza: guardarsi intorno, informarsi e capire quando il “rumore di fondo” ottunde la realtà dell’associazionismo pacifista, per appiattirla, vanificarla dirottando l’attenzione su distrattori omologanti. Opporsi, rifiutare di essere complici di una situazione ingiusta è già rivoluzione, principio di un futuro diverso e possibile.
Accogliere il messaggio di Giuseppe Gozzini significa trasferire il testimone. Il progetto di un pacifismo radicale di respiro internazionale per una società nuova passa ai giovani, semi preziosi della rivoluzione delle coscienze, contagio fecondo indispensabile per uno spirito critico capace di continuare a vedere l’utopia.

Claudia Piccinelli

vedi link: Rassegna libertaria