Aurora Luzzi, calabrese di origine, è cittadina clarense da circa vent’anni. Pendolare tra Chiari e Milano dove lavora come bibliotecaria al Politecnico, il mese scorso ha avuto la soddisfazione di poter presentare a Acri, in Calabria, il suo libro d’esordio “Se mi racconti”, molto apprezzato dalla critica e dalla stampa. Il libro ha inoltre ottenuto il “Marchio Microeditoria di qualità” 2015. Con il racconto inedito “ Pranzo di Natale”, lo scorso aprile si è classificata al secondo posto per il premio “Mercede Mundula”, bandito dalla Fidapa (Federazione italiana Donne Arti Professioni Affari) di Cagliari.
Da un bell’incontro a tu per tu con l’autrice sono emerse alcune considerazioni sul rapporto scrittura e vita.
Aurora, ti va di parlare delle fonti di ispirazione per la tua scrittura?
All’inizio, lo sono stati soprattutto gli studenti che si aggiravano in biblioteca, stavo con loro tutto il giorno. Per un servizio di consulenza bibliografica avanzata, preferivano venire da me. Ero paziente, mi sforzavo per capire di cosa avessero bisogno. Intanto li osservavo. Da come si sedevano, aprivano o chiudevano la porta, intuivo se erano personaggi interessanti, da coltivare. Mi solleticava l’idea di poterne scrivere. In alcuni casi il rapporto con loro è stato davvero creativo e fertile. Si aprivano al racconto della loro vita, con affetto sincero. E io: “Meritano, speriamo che riescano a realizzare i loro sogni”. Traggo spunto dalla quotidianità. Durante i miei spostamenti giornalieri in treno, scatto foto di particolari. Vicino all’ Oglio avevano appena arato. La mattina presto ho fissato in un’immagine il campo giallo oro, con una ragazza appoggiata al finestrino. Attingo dal viaggio, perché è il tema dell’esistenza. Se sai osservare, incontri la bellezza, ma anche la malattia, il disagio sociale.
Ti ha colpito il terreno appena arato. Qual è il tuo rapporto con la realtà contadina?
La vita contadina mi interessa, io appartengo a questa cultura. Il mio primo libro di racconti, soprattutto “Cantari” vuole essere un omaggio alla civiltà contadina, dalla quale io provengo. Ho imparato la fatica, l’onestà, la condivisione. Tutte le porte delle case erano aperte, solo un forno per tutti in paese, una trebbiatrice, anche la vendemmia si faceva insieme. E un calendario per non sovrapporsi nelle attività. Ho avuto un’infanzia con i pidocchi, i geloni e un focolare per riscaldarci. Ma tutto ha rappresentato un’opportunità. Ho pensato di regalare questo racconto ai bambini, li sento molto vicini. L’infanzia è un momento importante della nostra vita.

Quando hai iniziato a scrivere?
Circa tre anni fa, ho aperto una pagina face-book “pensierobinario”. Postavo le mie foto accompagnate da brevi commenti. Avevo moltissime visualizzazioni. Mi divertivo a scrivere un incipit, lasciato incompleto. La gente commentava e mi piaceva coglierne le considerazioni. Se mi capitava di rimanere qualche giorno senza farmi sentire : “Aspettiamo un tuo scritto”. Così ho cominciato a dedicarmi alla scrittura tutti i giorni. Per me era la prova che potevo scrivere anche per gli altri. Piace leggere quello che spesso non vediamo e magari l’abbiamo proprio sotto gli occhi.
Come sei arrivata alla pubblicazione del tuo primo libro?
Nota i miei scritti Serena Castro, scrittrice di Trieste, mia amica in face- book. Mi fornisce l’indirizzo di Elio Scarciglia, editore di Terra d’ulivi. Scrissi per lui il primo capitolo di “Cantari”. Mi ha risposto, era interessato. Ho lavorato agli incipit dei miei racconti, li ho curati molto. Lui aspettò l’ultima versione, voleva pubblicarli. Gli chiesi una bozza del contratto. Non compariva che io dovessi pagare alcun contributo per la pubblicazione, come invece fanno tanti altri. Lui avrebbe svolto il suo lavoro di editore, ma per me libertà assoluta. Ho scritto tutto quello che ritenevo senza alcuna censura. Un contratto onestissimo, nessun onere da parte mia. E poi la soddisfazione, l’aver creduto in me.
Perché la scelta di scrivere racconti?
Il racconto esprime l’intensità di certi momenti, aspetti dell’esistenza, come dei piani sequenza, con uno sguardo lungo su un unico frammento di vita. E’ un genere dinamico, autorevole, capace di tenere la tensione nella narrazione. Non è una debolezza narrativa. Anzi, il racconto è difficile perché hai storie diverse prese dalla vita reale, con stili espressivi differenti, e ti diverti ad usarli. La realtà è aperta, variegata, da saper cogliere. Nel racconto, chi scrive ha la possibilità di sperimentare. Il finale aperto non ha niente a che vedere con l’incompiutezza del racconto. E’ una scelta: lascio il lettore sospeso perché mi affido alla sua libertà, che è pari alla mia. C’è chi vuole finali conclusi, confortevoli, ma quella è vecchia letteratura.
Cosa dovrebbe esprimere la scrittura?
La letteratura non deve tacere nulla. Deve saper interpretare gli stati d’animo che fanno parte del nostro vissuto, nel quale tutti si possono riconoscere. Non serve una grande storia. Tra leggerezza e male di vivere, il vissuto ci riguarda. Significativo il sottotitolo del libro “ Semi di storie da viaggio”. Chi scrive filtra tutto attraverso la propria personalità e semina nel racconto quei semi che poi il lettore, se vuole, dovrebbe ritrovare. Con la scrittura recuperi la tua vera identità. Da sempre subisco la fascinazione per la parola. Le parole seducono, sono l’anima del libro. Le cerco, le cambio, le sostituisco. Solo quando luccicano come perle, allora le consegno al lettore.
Stai per pubblicare un romanzo scritto a quattro mani. Come mai questa scelta?
Il romanzo è un’esigenza narrativa di altro tipo, ma non ritengo sia un genere superiore al racconto. Il nostro è un esperimento, un gioco a quattro mani, tra due amiche, Serena ed io. Pratichiamo le stesse finalità, in entrambe domina il culto della parola. Si è trattato di una collaborazione a distanza, ma con vicinanza nel sentire. Il primo capitolo l’ho iniziato e inviato io, il secondo Serena. Ci confrontavamo, con umiltà e grande rispetto. Solo una volta ci siamo incontrate, nel mese di luglio a Salve, nel leccese, alla premiazione dei rispettivi libri. Io da donna del Sud, calorosa e esagerata, l’ho abbracciata appena vista . Lei mi ha detto che nessuno l’abbracciava così da anni. Non potevo che esserne felice. Abbiamo parlato per ore, come se ci conoscessimo da sempre. E’ stato come ritrovarsi, come se lei avesse bisogno di me e io di lei.
Oggi, cosa rappresenta la scrittura per il tuo modo di sentire?
Oggi, per me la scrittura è diventata un’esigenza primordiale. Mi consente di esprimermi come sono adesso. Scrivo serenamente, senza filtri e con sincerità.

vedi link: Il Giornale di Chiari