Destini incontrati
e raccontati
Si sente “un ladro di anime” Corrado Stajano per la curiosità mai sopita che lo porta a trafugare destini compiuti di uomini e donne (Corrado Stajano, Destini, Archinto, Milano, 2014, pp. 192, € 15,00). Figure tratteggiate di fino, interpreti della storia del Novecento. Nella raccolta dei ritratti, nell’arco di circa quarant’anni, la sensibilità di Stajano scrittore indaga e accoglie non soltanto il bel mondo popolato da protagonisti indiscussi, distinti, conosciuti. Certo, compaiono amici, maestri, penne note e volti di elevata caratura come Alberto Cavallari, “testimone di dignità perduta”, autentico artigiano della scrittura e grande giornalista, incontrato in casa di Elio Vittorini a Milano lungo i Navigli. E, riprendendo i titoletti degli articoli, conosciamo i destini dei conti di Collegno, di padre David Maria Turoldo, “il frate rosso”, di Cesare Cases, “il ragazzo di bottega che umiliò Thomas Mann”. Incontriamo Giulio Einaudi, “l’editore di un’altra Italia” e Franco Cavallone, “il notaio che inventò le toffolette”, tenera e morbida parola per designare gustosi dolcetti americani. Raffaele Mattioli, un banchiere umanista, illuminato, letterato e mecenate.
Non manca l’amicizia, nata in Sardegna, con Peppino Fiori, guida e maestro. Il giovane Stajano, con la trasmissione “AZ. Un fatto come e perché”, sarà coinvolto nell’avventura televisiva.
Facendo leva sul coraggio della verità, Fiori riuscirà a gettar luce sul caso Satgia, pastore innocente di Orgosolo condannato all’ergastolo, dando un decisivo contributo per la sua liberazione. A Milano, Stajano incontra l’amico e maestro sardo impegnato con la troupe di Tv7 per un servizio sui funerali delle vittime di piazza Fontana, e nel corteo funebre dietro le bandiere nere degli anarchici, anche Tiziano Terzani, il bravo cronista e “viaggiatore incantato”, con in groppa il figlio Folco.
Invece, l’esistenza di Claudio Magris, mai sentito nominare prima, si paleserà a Corrado Stajano, mentre insieme a Ermanno Olmi stava conducendo un documentario sulla lettura in Italia, nei primi anni Settanta. Nella biblioteca aperta nel cuneese da Giulio Einaudi, l’incontro con un contadino di Dogliani. Voleva leggere “Il mito asburgico” di Magris, lui, che aveva fatto la guerra contro gli Asburgo. “Si deve conoscere il mondo per progredire”, diceva. La saggezza contadina aveva colto nel segno.
Tuttavia, la prospettiva di Stajano presuppone sempre un’ottica dal basso.
Riaffiora nei suoi scritti chi è scivolato nelle retrovie della dimenticanza, oppure chi, sconosciuto, in qualche modo vive ancora nella mente. Destini ai margini, come quello di Danilo Montaldi, cremonese, classe 1929, morto “annegato coi suoi sogni di rivolta” al modo degli emarginati dei suoi scritti. I maestri? Un padre marinaio, condannato per aver scritto una lettera a un anarchico, e un piastrellista, il Butta, che portò in provincia la notizia delle purghe di Stalin. Accanto, una moglie capace di alleviargli la sofferenza di emarginazione, la stessa toccata ai suoi personaggi. Giorgio Manzini, mantovano, “l’umile cronista delle tute blu” degli operai della Falck di Sesto San Giovanni, e dopo la strage di Piazza Fontana, delle trame che insanguinarono il Paese, il terrorismo. Non cede a compromessi, non è un arrampicatore, si sente un escluso. Ha una testa e un’umiltà da contadino, e allo stesso tempo dell’operaio-uomo-massa schiacciato nell’ingranaggio della ripetitività quotidiana. Ma porterà avanti fino in fondo la sua missione.
Saverio Tutino, l’amico partigiano della Val d’Aosta e del Canavese, “guerrigliero della memoria”, raccoglitore di destini di uomini e donne senza nome, scovati nei loro diari. Forse il più famoso, quello di una contadina mantovana, scritto su un lenzuolo a due piazze. Poi l’idea di creare un Archivio nazionale dei diari, a Pieve Santo Stefano, nell’aretino, per strappare dall’oblio i destini di chi, senza far rumore, ha gettato le radici della storia tra Otto e Novecento.
Destini compiuti si intersecano con quelli di mogli, compagne, sorelle, nonne rimaste dietro le quinte. Presenze incisive occhieggiano sullo sfondo come fari luminosi, insostituibili guide.
Scorrendo questi destini, ci si chiede: avrebbero potuto trovare compimento senza la loro presenza?
Come è successo a Vincenzo Consolo, “l’amico della lava nera”, conosciuto a Zafferana Etnea in occasione del premio letterario “Zafferana-Brancati, nell’autunno del 1968. Un’amicizia continuata a Milano negli anni di piazza Fontana, quando Consolo si sentiva ancora un immigrato. Non riusciva a concludere la sua seconda opera. La spinta decisiva alla conclusione del libro giungerà proprio moglie Caterina: lo incoraggia, lo scuote dalla paura di scrivere, dal pudore. Pubblicherà il suo romanzo storico “Il sorriso dell’ignoto marinaio”, nel 1976.
E le donne di Ermanno Olmi? Una madre di famiglia contadina: saprà far campare la famiglia in una povera casa di ringhiera, dopo il licenziamento del marito ferroviere, per essersi rifiutato di prendere la tessera del fascio. Ermanno ancora piccolo imparerà a fare il pane, durante le lunghe estati contadine trascorse dalla nonna a Treviglio, nel bergamasco, mentre si dava da fare come garzone dalla di fornaio. Donne che apriranno la sua sensibilità poetica a quel mondo dalle tonalità minori, ma cariche di profonda umanità. E poi la moglie Loredana, “presente anche quando non c’è” , riferimento importante soprattutto nei momenti in cui è difficile mantenere accesa la speranza.
Romano Bilenchi, “il ribelle di Colle Val d’Elsa”, scrittore sempre lucido nella memoria. Intrappolato nella sua lunga malattia che gli impediva anche di parlare. Troverà la forza nella presenza insostituibile di una donna, la moglie Maria, compagna di una vita, in grado di leggere le sue parole mute e di farsi tramite del suo pensiero di uomo e scrittore, fermo e pronto nell’anteporre in ogni circostanza le ragioni della libertà. L’affettuosa amicizia con Paolo Volponi, avvocato, poeta visionario dai libri dimenticati, “convinto che i ribelli fossero il lievito della terra” e “la nevrosi la coscienza critica del mondo”. Direttore dei servizi sociali e culturali alla Olivetti di Ivrea, in seguito Volponi soffrirà per esserne escluso. Rilevanti figure femminili puntellano il suo cammino: Giovina Jannello, intelligente, colta, prestigiosa assistente personale di Adriano Olivetti, sarà al fianco di Paolo, fermo sostegno agli scossoni dell’esistenza. E un’altra donna dal forte temperamento fa capolino: la sorella minore, Maria Luisa, risoluta madre badessa delle Clarisse di Urbania.
Sarà un’altra donna ancora, Maria, moglie dello scrittore Giuseppe Antonio Borgese a fissare la memoria dei destini incontrati dal 1915 al 1947, a Palazzo Crivelli, a due passi da Brera, a Milano. Firme di artisti, letterati, politici, molti in seguito perseguitati, esiliati, o morti nei lager venivano richieste da Maria in segno di amicizia, e gli invitati le imprimevano su una tovaglia di lino bianco. Poetessa, scrittrice, amante del teatro, riservata e accogliente, ricamerà quei nomi scritti col lapis a punto erba, con il filo rosso, per lasciarne indelebile traccia. Oggi, la nipote Giovanna conserva la tovaglia di lino bianco, appesa a una parete. Un’opera senza vetro, senza cornice, a memoria di quei destini tanto diversi, insoliti, molti tragici.
Attraverso lo sguardo d’insieme dei ritratti incontrati -e non sono pochi- si può dire che lo stesso Stajano ripercorra a ritroso anche il proprio destino. Compagne di strada? Una passione empatica, una capacità di vedere dentro le pieghe dell’esistenza. E una scrittura chiara, essenziale, profonda, capace di esprimere “Il colore della vita”.
Claudia Piccinelli
vedi link: Rassegna libertaria