Una imprenditrice prima del tempo. Poteva rimanere vicina ai cinque figli e dedicarsi al suo lavoro. Intanto il marito in campagna imballava il fieno. Tutto si svolgeva nella sua abitazione clarense, affacciata sul fosso che porta ai Lumetti, con un piò e mezzo di frutteto per stendere il bucato, l’entrata da via Pedersoli al 22 e l’uscita in via Barcella.
Il figlio Amedeo la ricorda
“Faceva la lavandaia del “77 Fanteria” e aveva un contratto di lavoro. Andava al magazzino per controllare la roba che doveva lavare. Avevo forse sei anni e mi portava con lei. I magazzini erano pieni di divise dei militari del fronte. Sulla casa della lavandaia c’era l’insegna dei “Lupi di Toscana”, coperta dopo l’Armistizio del ‘43 per paura degli invasori. Ora non c’è più. Tolta. Venivano a trovare la lavandaia e portavano pacchetti di dolci. Per noi era un vanto. Arrivava il comandante del “77 Fanteria” Colonnello Abate, a cavallo, con gli stivaloni. Il Capitano Prestini- mi ricordo i suoi occhialetti- veniva sempre con il cane Fula col pelo lungo e nero. Invece il Maresciallo Ambrosiani, in bicicletta, accompagnato dalle figlie. Ero sempre in braccio al Sergente Farini, veneziano. Dopo la guerra si è messo a fare il rappresentante e ci veniva ancora a trovare con la sua macchina bella, nuova, lunga.
La casa era sempre aperta a tutti.
Guardavano la biancheria stesa tra gli alberi di pere, ciliegie, cachi, prugne. Divise, mutande, zaini, fazzoletti, pezze dei piedi al posto delle calze. Il papà le stendeva. La roba da lavare veniva consegnata alla lavandaia col carretto e il cavallo. Mia mamma aveva tre, ma anche quattro o cinque dipendenti donne. – Figuriamoci, con il marito via militare, avevano bisogno di lavorare- Organizzava lei tutto il lavoro. A pian terreno, in un’unica stanza, c’era la bugadera e subito fuori i lavatoi. Usava il sapone fatto di soda e grasso. Lo portavano da Brescia. Sul fuoco del camino metteva un pentolone grosso per farci bollire dentro la biancheria, con la lisciva. Lenzuola di tela grossa, canapa, pannolini di tessuto, di quelli che si fissano con le spille. Usciva al fosso. Lavava sulla pietra con l’acqua corrente del canale e a volte mi fermavo a guardare quella donnetta battere la biancheria pesante di acqua e sapone. Entrava nel canale anche in pieno inverno, con gli stivaloni di plastica. Aveva fatto la “spagnola” -era guarita- ma la sentivo sempre tossire. Nella stanza vicina alla bugadera dava ordine alle donne di riordinare la biancheria. Stiravano su tre tavoli e un altro sotto il portico. Ha lavorato dal ’35 all’ ’80. Lavava anche per i carabinieri, la finanza e per i privati. Per non confondersi segnava la biancheria con un filo colorato. Faceva pure la sarta. Ha imparato dalle maestre di Chiari. Girava il collo delle camicie, girava i polsini. Ma sapeva fare persino una camicia finita. Ha lavorato fino a qualche mese prima della sua morte. A 81 anni.”

Donne e lavoro, oggi
Capelli striati di grigio intrecciati a crocchia sulla nuca, fermati con forcine lunghe. Le piccole mani energiche e bitorzolute dall’artrosi, lo scialle lungo e scuro buttato sulle spalle. La si vedeva in sella alla sua vecchia bicicletta con il fagotto di panni da lavare o la cesta che strabordava di biancheria stirata, profumata da riconsegnare ai privati. Adele ha anticipato i tempi. Ha saputo fare del suo lavoro una impresa di famiglia. Se un tempo il lavoro femminile rispondeva solo a necessità economiche, oggi le donne hanno compreso che il lavoro serve per garantire l’ autonomia, e fanno leva su una maggior consapevolezza delle proprie capacità e del proprio valore. Non solo per il reddito, dunque, ma anche desiderio di autoaffermazione e realizzazione professionale. Superata l’idea del posto di lavoro fisso, hanno più attitudine per un lavoro creativo. In questi tempi di crisi del mondo del lavoro – ma prima ancora è una crisi profonda di valori- la donna è molto più disposta a mettere in atto le sue risorse, mettersi alla prova, migliorarsi. La donna riesce in un contesto di crisi ad essere propositiva, dinamica. Tende a sfruttare le sue risorse relazionali e comunicative che sembrano contraddistinguere il genere femminile, per costruire una via più feconda alla gestione dell’impresa.
Oggi nel mondo del lavoro le donne sono ancora penalizzate rispetto alla possibilità di conciliare lavoro e vita familiare. Una donna è ancora costretta a dover decidere tra carriera e famiglia. Mancano servizi che consentano non solo alla donna, ma all’intera famiglia, di avere un supporto concreto, oltre la rete parentale. Servono politiche nuove di incentivazione dell’imprenditoria femminile.
Secondo la Presidente nazionale di “Impresa Donna”, le imprese femminili oggi aumentano e sembrano resistere alla crisi. Le donne accedono ai crediti, hanno una più bassa propensione al rischio e conseguente maggior tenuta di fronte ai contraccolpi della recessione. Tuttavia, il tasso di credito applicato è ancora più alto rispetto a quello degli uomini. Sembra però arrivata una bella notizia: si sta varando una linea di credito per le donne imprenditrici, in cui la copertura delle garanzie richieste è garantita dallo Stato. Non dovranno più dipendere dall’avallo di padri o mariti. Si spera che la buona notizia possa diventare una bella realtà.
Oltretutto, le donne fanno leva sulle loro forze, tendono ad assumere altre donne e meglio ne comprendono le esigenze di flessibilità nella gestione delle risorse umane, per trovare un equilibrio tra lavoro e cura. E’ un modo di fare impresa diverso. Quando le imprese femminili falliscono spesso è dovuto a gravidanza, maternità, assistenza agli anziani. Ma questo è un problema sociale, non delle donne.
E la strada da fare, quindi, è ancora lunga.