Ho iniziato ai tempi del liceo, con le matite. Disegnavo mascheroni apotropaici. L’unica ad utilizzare la n.1, più morbida per dare carattere al disegno con chiaro-scuri più decisi e l’effetto delle ombre. Disegnavo per tutti i miei compagni, dalla prima alla quinta classe. E la profe: -Non puoi far questo, mi metti in difficoltà, come posso valutare? A fine anno, tutti i lavori venivano esposti, ogni studente metteva la propria firma, ma erano fatti tutti da me: capitelli, Mole Antonelliana, pianta della Basilica di San Pietro, mascheroni.

In seguito mi sono sperimentata con acquarelli, acrilico, olio su tela. Mi sarebbe piaciuto frequentare l’accademia delle Belle Arti, oppure iscrivermi alla facoltà di Architettura . Mi sono laureata in Medicina, una specializzazione in Farmacologia e Tossicologia e faccio il medico, un lavoro al servizio degli altri. Ma la passione per la pittura e per l’arte, in me è rimasta sempre viva.
Don Antonino, uno scopritore di talenti
Un grande incoraggiamento a continuare me lo ha dato don Antonino de Masi, di Varapodio paese dove ho vissuto dall’età di otto anni. Sono nata in Australia, a Melbourne. Dopo il ritorno al paese con la mia famiglia da Melbourne, ricordo -era tempo di Pasqua- don Antonino passava a benedire le case. Stavo lavorando a un olio su tela. Incuriosito: – Fammi vedere. E’ bastato quel suo modo per sentire di essere stata accolta nella comunità d’origine della mia famiglia. Apprezzava i miei lavori. Uno scopritore di talenti nei vari campi dell’arte dalla pittura, alla musica, alla scrittura. Se fiutava qualche talento non lo abbandonava. Organizzava cori, concerti, mostre. Si spingeva oltre la sua missione. Dove c’erano i giovani, lui c’era, con la sua presenza discreta, ma decisiva, e il suo sguardo attento. Ci portò a Seminara negli anni Ottanta dove lavorano l’argilla e la ceramica artistica. Sono rimasta subito colpita dalle maschere apotropaiche, una produzione artigianale dell’antica tradizione popolare calabrese . Si collocavano le figure allegoriche e grottesche in casa, per allontanare gli spiriti maligni.
Scrivono di lei
“ Nell’espressione dei volti serpeggia onnipresente quell’alone di mistero che ne fanno la caratteristica più saliente, contrapposta alla drittezza delle linee, puntate all’obiettivo, tracciate con mano sicura per niente indecisa sul punto e sul momento in cui deve fermarsi. Tali elementi apparentemente in contrasto con la iperscrutabilità dei volti perché non sempre completi unitamente, a mio parere, danno piena cautezza della stessa personalità dell’ autrice. I colori, pochi ma del tutto distinti, danno compattezza al disegno, che può essere richiamato mnemonicamente con certezza di non tralasciare niente” ( Santi Giunta, Neuropsichiatra)


“ In pittura è un’ autoditatta. La sua pittura spontanea e vivace, abbandonate certe forme classicheggianti, tende ad assestarsi sempre più su un espressionismo molto espressivo, per cui, validamente, con disinvoltura, traduce sulle tele a vivi tratti di pennello e colori, i molteplici aspetti della natura e della vita e, soprattutto, i contrastanti stati d’animo nella continua ricerca dell’ Assoluto.” ( Antonino De Marsi)

Di grande stimolo le mie docenti di Arte, prof.ssa Giuseppa Mongiovì Quattrone e prof.ssa Canale. Poi zia Lix e il pittore norvegese Tore R. Nyholt, quando li ho visti dipingere a quattro mani, mi ha colpito soprattutto l’uso sapiente dei colori. Mi hanno dato lo stimolo per passare dalle matite ai pennelli. Col tempo e l’esercizio la mano si è fatta più sicura, così ho voluto rendere omaggio alle famiglie che hanno onorato Varapodio, con un’ opera.

Tecnica: pastelli colorati, sfondo a gessetto su cartoncino, anni ’80
Il primo stemma appartiene alla famiglia Virdia, una delle più antiche e nobili famiglie di Varapodio, in provincia di Reggio Calabria. Pare che i Virdia fossero naviganti di origine greca approdati a Gioia Tauro intorno al 1500 e stabilitisi poi a Varapodio. A conferma, il loro stemma gentilizio riproducente una nave sul mare con le vele spiegate al vento e tre stelle in alto nel cielo.

(Foto dal libro di Antonino De Masi, Varapodio ieri e oggi: fatti, personaggi e costumi, 1990)

Il secondo stemma rappresenta lo stemma Vescovile di Mons. Giuseppe Antonio Virdia (1820-1903) .Riproduce uno scudo con in basso un pellicano nel deserto, con palme ed in alto l’emblema francescano: due braccia, quella di Cristo e di San Francesco. Il tutto sormontato dal galèro, il caratteristico cappello vescovile, coi fiocchi spioventi d’ambo le parti.
Il terzo stemma, uno scudo sormontato da corona, appartiene allo storico scrittore Carmelo Faccioli, discendente da una delle famiglie che tra il 1700 e il 1800 dominarono la scena di Varapodio. Lo stemma è diviso in due settori. A destra, sulle onde del mare, due colombe davanti a una corona di alloro sovrastata da tre stelle, a sinistra tre strisce oblique con un ramoscello di Olivo e tre spighe di grano.

“Connie Lando lascia spazio ad una impalpabile presenza umana come di atmosfere e vite vivibili quasi una immagine non chiusa alla speranza poiché la tela è arricchita di colori e di vivacità che l’artista riesce a comporre in una struttura mantenuta sui toni dell’ essenziale.” ( Santo Fedele, Architetto)
Numerose le mostre collettive dal 1985- Sant’Eufemia D’ Aspromonte, al 1987-89 Varapodio. Ha vinto premi e segnalazioni di merito nei concorsi e mostre estemporanee di pittura

Mostra estemporanea, Varapodio, 1987 (Sindaco Rizzo)
“Questa pittrice, nelle sue opere, cerca di rappresentare le idee, i costumi, l’aspetto del suo ambiente. Nelle sue pitture si nota il gusto della scoperta pittorica quotidiana, di quella pittura che nasce direttamente dall’osservazione della realtà che la circonda. La sua scelta tematica volge da una parte sul paesaggio della sua terra e dall’altra sulla presenza di persone-personaggi di una vita che si svolge intorno a lei con i suoi drammi e le sue gioie. Essa cerca di raccogliere sulla tela il succo di una sensazione, di una partecipazione nostalgica, a volte drammatica. ( Anna Crucitti, Docente di Arte)
“I suoi dipinti manifestano apprezzabile capacità pittorica nella quale chiare emergono doti naturali di gusto e fantasia potenziate da costante studio e progressivo affinamento che conferisce pregio artistico alle sue pitture.” ( Concetta Mazzullo, Pittrice)
Poi la scoperta della Scuola d’ Arte Aldo Kupher
Quando sono arrivati i figli, ho smesso di dipingere. Ma una volta cresciuti senti il bisogno di riprendere in mano le tue passioni. Ed è avvenuto grazie alla mia amica Laura Traversari. Mi ha parlato di una scuola di ceramica a Palazzolo sull’ Oglio, un giorno alla settimana, la sera tardi. Ho rinunciato subito, mi son detta, troppo impegnativo. Non riuscivo ancora a mettermi in azione. Poi a casa sua, un anno dopo sono stata catturata dalle sue opere, i suoi vasi, bellissimi. – E allora, iscrivimi, vengo anch’io. Ormai ero proprio decisa.
Si crea dal nulla
Con l’uso originale di materiali semplici, come l’argilla e dalla sapiente combinazione dei colori prendono gradualmente forma oggetti artistici. Il sapiente lavorio delle mani trasforma la materia informe in manu-fatti unici, irripetibili nella loro essenza, perché ogni volta generati da un’intima forza che sprigiona energia creativa, risollevando le tensioni. Il risultato finale genera così anche benessere interiore.
Così racconta Connie
Ho lavorato un riccetto d’argilla. Quel giorno era stato piuttosto pesante, dovevo fare gli aculei, ma non riuscivo. Li facevo e li disfacevo. Il maestro Marco Pedrali ha capito, io avevo una repulsione, non riuscivo a continuare. Il maestro si è seduto accanto a me: – Che dici se li facciamo in quest’altro modo? Ho ripreso forza e scaricato la mia tensione sull’argilla. Nell’impasto ci ho messo la mia energia. Beh, ho finito il mio riccetto con i suoi aculei in un baleno !

Ho modellato un Babbo Natale stilizzato. L’ho portato al cimitero sulla tomba di mio padre. In un altro vaso con la croce aperta, se metti il lumino arde una piccola fiammella. Mi piace che ci sia un mio lavoro dove riposa mio padre, per avere un filo, una continuità con lui.

La balenottera, un mammifero d’acqua, mi piace perché amo il mare, mi dà energia. Quando entro nell’acqua marina mi percepisco in un’altra dimensione. Mio padre mi diceva che saprei anche dormire nell’acqua. La mia balenottera è verde ramina, un colore che mi dà serenità.

Il vaso blu invece è nato dopo un momento di nervosismo, avevo in mente un lavoro, non mi usciva come volevo, allora in un momento di stizza, prima di abbandonarlo, ho stretto l’argilla fresca con le mani: -Perché non devo riuscire? Con quel gesto ho visto la materia maltrattata trasformarsi. Nel mollare la presa, ho visto che quello poteva essere un vaso particolare, sinuoso. Nel medesimo istante, ho assaporato il piacere e la meraviglia di una riuscita inaspettata . Poi ho dipinto il mio vaso di blu.

Mentre sto lavorando a un’opera, la mia mente corre già a un’altra nuova idea da realizzare. Ho in produzione un vaso di rose. Mi sono lasciata ispirare dalle rose che mia madre faceva in sartoria con le stoffe. Prima non ci avevo mai pensato, poi mi sono ricordata i suoi gesti delicati e come le modellava. Le rose di stoffa della mamma lei le metteva sugli abiti, io le mie rose d’argilla le metterò sui vasi. Ora che mamma ci ha da poco lasciati, sono le rose che mi legano a lei, come un altro filo ricamato che continua oltre la vita, mai interrotto.
Alla Scuola d’ Arte Aldo Kupher, in un clima mai giudicante, si lavora rilassati, ci si scambia consigli: quale colore base andrebbe meglio? Come potrei fare questo passaggio? Che ne dici, può andare bene? Il maestro insegna che “non interessa tanto la riuscita in sé, quanto l’emozione che ci metti quando lavori”.
Il maestro Marco Pedrali si esprime in merito all’opera di Connie.
“- Non ho spiccate abilità artistiche
– Perfetto!!
Questo il primo scambio verbale tra Connie e me. Ora, passati tre anni posso con sicurezza affermare che ha rappresentato un eccellente foglio bianco (la metafora potrebbe diventare panetto di argilla) su cui tracciare i punti di un progetto creativo. Ella ha iniziato ad unire questi punti seguendo poi una linea personale, che l’ha condotta a vincere insicurezze, in favore di una indiscussa capacità tecnica. Dunque, grazie Connie per esserti affidata ad un maestro, maturato professionalmente con l’aiuto di allievi collaborativi”. Maestro Marco Pedrali
E ora, Connie pensa anche al dopo, quando il tempo liberato dal lavoro le consentirà di dedicare più tempo per sé, di vivere appieno la sua passione, come un gesto d’amore, prima di tutto verso sé stessa.