Questa volta, Caterina era davvero decisa: avrebbe intrapreso quel viaggio a lungo immaginato. L’Italia imparò a riconoscerla a scuola, percorrendo con un dito sulla carta geografica quella forma di stivale somigliante a una galoscia, con la punta e un tacco da donna e sopra il tacco uno sperone da cow-boy.
Lentezza
Con la pagina del sussidiario alla finestra, su un foglio bianco ricalcava confini e segnava luoghi, dal suo paesello nell’umida pianura bresciana immerso in una campagna piatta e nebbiosa, fino al punto dove finisce la terra. Si lasciava trasportare dalla voce dei bollettini radio dell’ aeronautica militare: Canale d’Otranto mare calmo, Golfo di Taranto moto ondoso in aumento, Santa Maria di Leuca mare forza7. Era nata in uno stivale, si diceva, e un giorno l’avrebbe percorso tutto, e non solo con il dito.
Un viaggio lento con treni regionali e locali per non affrettare il viaggio. Come la prima tappa, anni addietro, sui treni della ferrovia Appulo lucana, a gasolio binario unico e scartamento ridotto, da Bari alla città dei Sassi, per godersi non più l’ Italia confinata delle carte e delle mappe, ma l’ Italia vera nel cuore di pianure, altipiani, paesi dai nomi sconosciuti e camminare, incontrare volti nuovi.
Incontri
Quando decise di intraprendere il secondo viaggio, era già estate inoltrata. Cambio di treni regionali di stazione in stazione fino a Bari, poi tappa a Lecce tra viuzze, piazze e angoli come un salotto accogliente di morbido velluto color del miele tappezzato di arabeschi e ghirigori e da una natura scolpita nella pietra. Caterina era incuriosita da trattorie con la scritta Cucina veneta sbiadita dal tempo. Il proprietario raccontò di essere figlio di un emigrante del Veneto, arrivato in Puglia con altri contadini per lavori di bonifica mandati da Mussolini. Nelle campagne venete si moriva di pellagra , c’era solo polenta da mangiare – disse- e per la prima volta i più anziani, nelle masserie della Puglia, assaggiarono il sapore del pane. Tra i veneti rimasti, qualcuno aperse una trattoria dove ancora oggi arriva gente a mangiare risi e bisi, baccalà alla vicentina, sarde in saor .
Caterina si rese conto di quanto un viaggio accorci le distanze. Rifletteva sulla terra di Puglia, le sue stratificazioni e colonizzazioni, incontro di storie e di culture, terra di accoglienza e di immigrazione, ma pure terra di emigranti. Toccò anche a Rodolfo Valentino di Castellaneta partire per l’America e alimentare il mito del divo muto della settima arte. Toccò a Nicola Sacco di Torremaggiore e a Bortolomeo Vanzetti piemontese pagare sulla sedia elettrica pregiudizi , intolleranza, discriminazione subìti da chi vive in terra straniera.
La sera calava tra le vie brulicanti di persone. Il ritmo dei tamburelli della pizzica pizzica si sovrapponeva nella sua mente alla musica di Ennio Morricone e alle parole della Ballata di Joan Baez : per chi ama la verità, solo il silenzio è vergogna.
Non riusciva a vivere quei momenti solo come svago. Caterina era fatta così.
Spazi aperti
Si rimise in viaggio di buon mattino, in pullman, da Lecce a Santa Maria di Leuca, immersa nelle campagne di uliveti e vigneti, colline un po’gobbose, grandi lecci dalla chioma a ombrello, fino nel punto più a sud del sud, dove la terra termina nel mare. Non due mari vide, ma uno stesso mare: i confini erano immaginari.
Un respiro profondo la riempì di leggerezza, quando giunse nella grande piazza accogliente, dove un tempo i ragazzetti giocavano a calcetto, dominata dall’immensità del santuario della Madonna de Finibus Terrae sul promontorio Iapigio meta di pellegrini . E poi il faro con il suo gigantesco occhio, non lo immaginava così alto. Era tutto là, così lontano, ora così vicino. Vide solo spazi aperti, da cogliere con un unico abbraccio.
Si sedette su una panchina della grande piazza. Una studentessa dallo sguardo un po’ malinconico prese posto. Era di Taranto, aspettava amici. Francesca raccontò del suo legame con il mare, il bisogno di ritornare a Lizzano dopo mesi di lontananza, gustarsi cozze in pastella con i piedi nella sabbia e ricordare lasua scuola Aristosseno con le finestre affacciate sul Golfo la consolava nelle fredde giornate universitarie a Urbino. Mancare da casa a Santa Cecilia per il lungo Natale tarantino la invade ancora di nostalgia. Fin da bambina trepidava confidando nella musica dell’ orchestra di fiati all’alba lungo le vie profumate di pettole calde come dono, preparate anche a scuola quando era piccola.
Caterina guardava la giovane donna così vera e piacevole con quel sapore di semplicità, che era anche il suo. All’imbrunire, con un gesto lento ripose gli occhiali da sole nello zainetto, il pullman del ritorno la aspettava. Il suo viaggio stava terminando troppo in fretta, ma sarebbe ritornata. Un altro viaggio, altri volti, storie altre, per aprirsi a mondi nuovi e convincersi che i confini esistono, ma solo quelli tracciati con il dito su una carta, a tavolino.